7. Dire il diritto in islam. Dalle grandi scuole giuridiche (secoli VIII – X) ai nostri giorni

Introduzione
La gestione della dimensione giuridica riveste una grande importanza in tutte le società e rappresenta inoltre un problema politico. Nell’immenso dominio dell’espansione dell’islam, la giurisprudenza dovette chiarire le pratiche giudiziarie di popoli assai diversi rispetto le tribù arabe: gli Iraniani, i Berberi, gli Indonesiani, i Malesi... conformemente alle norme islamiche. Per riuscirvi i giuristi musulmani dei primi secoli dell’islam non disponevano che delle prescrizioni coraniche, poco numerose e limitate al ristretto campo delle pratiche religiose, civili (testamento, matrimonio...) e penali. Come interpretare il Corano e la Tradizione profetica per definire il diritto? Come supplire al silenzio dei testi fondatori al fine di adattare le risposte a situazioni concrete delle prime società islamizzate e, oggi, a quelle del mondo moderno riferendosi ad una norma, la sharī'a?
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Le grandi scuole di diritto

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Nella maggior parte degli Stati musulmani non è imposta alcuna scuola giuridica. Il mālikismo è dominante in Maghreb e in Africa subsahariana. Si richiama a Mālik ibn Anas, un giurista medinese del VIII secolo. Il suo insegnamento è stato oggetto di sistemazione con il nome di al-Muwattā' (al-Muwattā'. Manuale di legge islamica, Einaudi, Torino, 2011). Questa prima grande compilazione di giurisprudenza islamica è divenuta la vulgata dei giuristi, che l’hanno abbondantemente commentata. Contiene un corpus di hadīth e di pratiche giuridiche consensuali osservate nella « Città del Profeta » per rispondere ai silenzi del Corano e della Sunna.
Lo shafi'īsmo è insegnato in Indonesia, Malesia, Africa Orientale; l’hanafismo in Asia centrale, India, Pakistan, Turchia. Al-Shāfi'ī (morto nell’820) è uno dei più grandi giuristi sunniti. Ha insegnato e composto le sue opere in Egitto. Considera l’autorità del Corano e della Sunna come assoluta e superiore all’autorità spirituale detenuta dagli 'ulamā'. Privilegia l'analogia (qiyās) all'opinione delle alte autorità.
In alcuni paesi un solo rito è riconosciuto, per esempio il mālikismo in Marocco. In Arabia Saudita la tradizione wahabita, adottata dalla metà del XVIII secolo dagli 'ulamā',si richiama all’hanbalismo minoritario nei paesi musulmani, ultima nata tra le scuole di diritto sunnite prendendo forma nel X secolo. Il suo eponimo Ibn Hanbal (m. 855) è soprattutto ricordato per la sua compilazione di hadīth e le sue posizioni teologiche. I suoi discepoli diffusero l’insegnamento giuridico del maestro, fondato sulla Tradizione e il ricorso moderato ai metodi del ragionamento delle altre scuole.
In Bahrein gli shī'iti, che rappresentano la maggioranza della popolazione, seguono delle scuole di diritto diverse. In Egitto, dove la tomba dell'imām al-Shāfi'ī,fondatore di una scuola di diritto, viene particolarmente venerata, l’hanafismo è stato diffuso dai sovrani ottomani a partire dal XVI secolo, ma al Cairo, all’epoca dei sovrani mamelucchi, la madrasa al-Nāsir (XIII secolo), costruita con pianta cruciforme, accoglieva i maestri delle quattro grandi scuole sunnite.

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Qiyās : il ragionamento giuridico per analogia

Dopo la morte del Profeta, numerosi casi che si presentavano non sono stati affrontati nei testi sacri. Era quindi necessario confrontare e avvicinare i nuovi casi a quelli che erano nei testi, seguendo alcune regole di analogia. Così, il confronto di due casi simili era giustificato, e poterono garantire che entrambi erano stati gestiti in base alle stesse disposizioni del Corano. Così si è formata una quarta fonte di diritto: ragionamento analogico riguardo al quale i primi musulmani sono venuti ad un accordo.

Ibn Khaldūn, Muqaddima, 727.

Ibn Khaldūn (1332-1406), la cui famiglia andalusa si era rifugiata in Ifrīqiya (antica provincia romana dell'Africa settentrionale), è nato a Tunisi. Grande letterato sunnita, storico appassionato, influente tra molte delle personalità politiche dell’Andalusia e dell’Egitto, insegna la dottrina mālikita nella grande moschea-università al-Azhar del Cairo e ricopre con rigore le funzioni di grande qādī (giudice). Redige al Cairo la Muqaddima, trattato di scienza politica di mille pagine nel 1377. Il ragionamento attraverso qiyās non è mai stato accolto all’unanimità tra i giuristi musulmani. È stato rifiutato dagli shī'iti e criticato da alcune autorità sunnite. La natura di questo ragionamento logico è stata discussa dai filosofi e dai teologi: si trattava di un sillogismo o di un ragionamento analogico?

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Commenti di Sara el Haydar sull’interdizione per le donne a guidare in Arabia Saudita

Dal mio umile punto di vista, l’islam non si oppone ai diritti umani; non si tratta dunque di un problema religioso. A livello culturale la società saudita è divisa sulla questione della guida delle donne e questa divisione si fonda semplicemente su credenze individuali e personali. Alcuni estremisti religiosi sostengono le donne che vogliono mettersi al volante, altri, al contrario, benché liberali e progressisti, si oppongono. L’inverso è naturalmente vero.
[...] alcuni sostengono che l’islam non autorizzi le donne a guidare. Tutto si risolve nella questione dell’interpretazione dei testi religiosi. Questa per me è una strumentalizzazione dell’islam; le mogli del Profeta cavalcavano pure i cammelli, le automobili dell’epoca! L’islam vieta alle donne di restare sole con uno sconosciuto, cosa che avviene quando una donna paga uno chauffeur perché guidi la sua auto. Una donna al volante è dunque più rispettosa della religione di una accompagnata da uno  chauffeur!

Intervista a Sara el Haydar, professoressa universitaria a Ryad, Libération 25 ottobre 2013.

In Arabia Saudita la scuola giuridica ufficiale, l’hanbalismo, è all’origine di pratiche sociali rigide, come la Polizia dei costumi dal 1940. L'Arabia Saudita è il solo paese al mondo dove le donne non possono guidare un’automobile. Nonostante nessuna legge lo vieti, le autorità non possono conceder loro la patente. Nel 1990 una fatwā del grande mufti ha giustificato il carattere illecito della guida di un veicolo da parte di una donna attraverso un principio di protezione — sadd al-dharaʿi. Si tratta di impedire alle persone di utilizzare un mezzo che non è vietato in se stesso, ma che li conduce a commettere degli atti illeciti. Accordare alle donne la libertà di guidare le esporrebbe a commettere degli atti inaccettabili per la Legge islamica.
Sara el Haydar è un’universitaria saudita. Considera che l’interdizione fatta alle donne di guidare si spieghi in primo luogo per ragioni sociali, ma riconosce l’importanza dell’interpretazione dei testi religiosi da parte dei conservatori e la « strumentalizzazione » della religione.

Fonte 4

Fatwā contro il terrorismo presentata a Londra (2 marzo 2010)

I kamikaze « non possono credere che i loro suicidi siano degli atti commessi da dei martiri che diverranno degli eroi della umma [la comunità musulmana], no, diverranno degli eroi del fuoco dell’inferno », ha dichiarato il Dott. Tahir-ul-Qadri. « Non c’è alcuno spazio per il martirio e i loro atti non saranno mai, mai, considerati come di jihad [guerra santa] », ha aggiunto.

*Fatwā : opinione giuridica che permette di adattare il diritto alle nuove situazioni.



Le Monde del 02/03/2010.

Tahir ul-Qadri è un erudito di origine pakistana, avvocato e membro di un’organizzazione sufi. Giurista sunnita molto conosciuto, ha presentato a Londra, nel marzo 2010, in una conferenza stampa, una fatwā pubblicata in urdu e in inglese in un libro di più di 500 pagine. Vi condanna ugualmente i suicidi e tutte le forme di terrorismo. Nella sua fatwā si appoggia al Corano, alla Sunna e alle autorità religiose.
Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, numerose autorità musulmane hanno condannato gli atti terroristi. Allo stesso tempo però alcune dichiarazioni hanno legittimato la violenza dei Palestinesi nei confronti degli Israeliani o contro la presenza militare americana in Iraq. Dal 2004-2007 alcune iniziative di personalità religiose, associazioni, scrittori del mondo musulmano hanno condannato tutte le forme di terrorismo e di attentati suicidi. In questo contesto, Tahir ul-Qadri ha pubblicato una fatwā argomentata che condanna radicalmente il terrorismo – in particolare quello di al-Qaeda –, qualunque siano le motivazioni politiche dei suoi autori. In un’intervista ha ricordato che: « Nessuna buona intenzione, né alcun errore di politica estera di qualunque paese, né alcun altro pretesto possono rendere legale il terrorismo ».