4. Il corpo nel Buddhismo
Foto di una tonsura nella Corea del Sud
A un ragazzo della Corea del Sud viene rasata la testa da un monaco buddhista durante la cerimonia cosiddetta “Dei ragazzi che diventano monaci buddhisti”, presso il tempio Jogye a Seul, il 13 Maggio 2012. I ragazzi restano al tempio per un periodo di apprendimento delle dottrine e pratiche buddhiste, solitamente nel buddhismo coreano, per i venti giorni che precedono le celebrazioni dell’anniversario di Buddha.
Foto di una tonsura in Corea del Sud
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Discorso sul nobile ottuplice sentiero
"O Monaci, coloro che hanno abbandonato la vita mondana non devono indulgere ai due estremi. Quali sono questi due estremi? Un estremo è il dedicarsi al godimento dei piaceri sensuali: questo comportamento è infimo, villano, volgare, ignobile e vano. L'altro estremo è il dedicarsi alla mortificazione di se stessi: questo comportamento è doloroso, ignobile e vano.
Evitando questi due estremi, o monaci, il Buddha ha realizzato il "sentiero di mezzo", che produce la visione e la conoscenza, e che guida alla calma (alla pacificazione definitiva delle afflizioni), alla perfetta conoscenza, al perfetto risveglio, al Nirvana. E cos'è mai, o monaci, questo "sentiero di mezzo"(...)? Esso è il Nobile ottuplice sentiero, ovvero la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta presenza mentale e la retta concentrazione.”
Tradotto dal Pali by Piyadassi Thera, 1999
Si tratta di un testo buddhista intitolato “La messa in moto della Ruota del Dharma” considerato la trascrizione dei primi insegnamenti impartiti dal Buddha appena raggiunta l’illuminazione. L’illuminazione è uno stato individuale di comprensione dell’ordine cosmico e dell’impermanenza di tutte le cose, grazie al quale si raggiunge uno stato beato libero da qualsiasi sofferenza e preoccupazione, detto Nirvana.
Questo tipo di testi che presentano le parole e gli insegnamenti del Buddha, sono chiamati Sutra.
"Dhammacakkappavattana Sutta: Setting in Motion the Wheel of Truth" (SN 56.11),
Translated from the Pali by Piyadassi Thera. Access to Insight (Legacy Edition), 2013,
Retrieved by http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/sn56/sn56.011.piya.html .
Immagine di una statua di Pu-tai
L’immagine di un Buddha grasso e sorridente è molto diffusa, specialmente in cina e nell’Asia dell’Est. Rappresenta un monaco buddhista di probabile origine cinese, chiamato Budai o Pu-tai secondo le zone geografiche. Questo personaggio è ricordato per il suo carattere amabile e generoso, per la sua grande bontà e gentilezza e ancora oggi le statuette che lo rappresentano sono auspici di felicità e benessere. La sua grassezza è interpretata come pienezza di sapienza e di bontà, e non come rappresentazione delle sembianze storiche del monaco.
Immagine di una statua di Pu-tai (Creative Commons license, by Mark Belokopytov https://www.flickr.com/photos/markb120/2945707092/in/set-72157594365595594 ) CC BY-NC-ND 2.0
Lettera di Thich Nhat Nanh.
Lettera di Thich Nhat Nanh. "In cerca del nemico dell’uomo (indirizzata al rev. Martin Luther King)."
Nel volume Nhat Nanh, Ho Huu Tuong, Tam Ich, Bui Giang, Pham Cong Thien. Dialogue. Saigon: La Boi, 1965. P. 11-20.
L’autocombustione dei monaci buddhisti del Vietnam nel 1963 è qualcosa di certamente difficile da comprendere per la coscienza dell’Occidente cristiano. La stampa ha parlato allora di suicidio, ma nella sua essenza non si tratta di questo. Non si tratta nemmeno di una protesta. Ciò che hanno scritto i monaci nelle lettere lasciate prima di darsi fuoco ha l’unica intenzione di destare le coscienze, di commuovere il cuore degli oppressori e richiamare l’attenzione del mondo sulla sofferenza patita dalla popolazione vietnamita. Darsi alle fiamme con le proprie stesse mani è la prova estrema che ciò che si sta affermando è ritenuto di importanza vitale. Non c’è, infatti, niente di più doloroso di darsi fuoco. Dire qualcosa mentre si fa esperienza di un tale supplizio significa dire qualcosa al massimo grado di coraggio, franchezza, determinazione e sincerità. Durante la cerimonia dell’ordinazione, al candidato monaco è richiesto di praticare delle ustioni su di una o più porzioni del corpo mentre recita il voto di osservare le 250 regole di un bhikshu, di vivere la vita monastica, di raggiungere l’illuminazione e di dedicare la sua vita alla salvezza di tutti gli esseri viventi. Si potrebbero certamente fare certe promesse seduti su una comoda poltrona; ma quando le parole vengono pronunciate in ginocchio davanti alla comunità del sangha mentre si prova un tale dolore, esse esprimeranno tutta la serietà del cuore e della mente, e avranno molto più peso.
Il monaco vietnamita dandosi fuoco dice con tutta la sua forza e determinazione che è disposto a patire le più dolorose sofferenze per proteggere la sua popolazione. Ma perché dovrebbe mai bruciare fino alla morte? La differenza tra il darsi fuoco e darsi fuoco fino alla morte è solo una differenza di grado, non di essenza. Un uomo che si brucia troppo arriva alla morte. L’importanza non è posta tanto sulla vita offerta, piuttosto sulla disposizione a darsi fuoco e a bruciare.
Ciò che lo spinge a compiere quest’atto è l’intento di esprimere la propria volontà e determinazione, non la ricerca della morte. Nella dottrina buddhista, la vita non è confinata nel periodo di 60 o 80 o 100 anni: la vita è eterna. La vita non è confinata in questo corpo: è universale. Esprimere la propria volontà attraverso l’autocomubustione non è dunque un atto di distruzione ma un’azione di costruzione, cioè determinazione di soffrire e morire per la propria gente.
Non si tratta di suicidio. Il suicidio è un gesto di autodistruzione che ha come cause una mancanza di coraggio a vivere o a farcela nelle difficoltà; una sconfitta e la perdita di speranza, oppure il desiderio della non esistenza (abhava).
Questo tipo di autodistruzione è considerato dal Buddhismo come uno dei crimini più gravi. Il monaco che brucia se stesso non ha né perso il coraggio né la speranza; tantomeno desidera la non-esistenza. Al contrario, egli mostra un grande coraggio e speranza e aspira a qualcosa di buono nel futuro.
Non pensa a autodistruggersi; crede nel bene che porterà il suo sacrificio per la vita degli altri. […]
Giugno 1, 1965
NHAT HANH
Thich Nhat Hanh è un monaco vietnamita impegnatosi per la pace durante la guerra americana in Vietnam. In questo testo, il monaco buddhista tenta di spiegare i gesti di autoimmolazione compiuti da alcuni monaci buddhisti al suo corrispondente, Martin Luther King, il famoso pastore americano leader del movimento afroamericano per i diritti civili, un movimento di lotta non violenta attraverso la disobbedienza civile. Il monaco buddhista descrive l’autoimmolazione (la pratica di darsi fuoco) come una forma estrema di protesta per casi di eccezionale gravità, tale da permettere di dimostrare la radicale ribellione e disapprovazione pur evitando di usare violenza nei confronti degli altri.
Il monaco scrive: "Il bodhisattva auto-incendiandosi permette agli altri di vedere ciò che egli vede e comprende, offrendo l’opportunità di vedere la natura immortale delle ultime cose”.
Letter. Thich Nhat Nanh. "In Search of the Enemy of Man (addressed to (the Rev.) Martin Luther King)." in Nhat Nanh, Ho Huu Tuong, Tam Ich, Bui Giang, Pham Cong Thien. Dialogue. Saigon: La Boi, 1965. P. 11-20.