- Cercare altre rappresentazioni del Cristo, situarle nel loro contesto.
- Trovare delle figure del Cristo nell’arte contemporanea.
- Commentare il contrasto tra questi due tipi di rappresentazioni.
- Cercare nell’arte del Rinascimento o nell’arte fiamminga del XV e XVI secolo delle rappresentazioni. marcatamente naturalistiche del tema della Vergine con bambino.
- Cercare le opere di Rembrandt in relazione con la storia di Giacobbe.
- Ricercare l’importanza dei soggetti tratti dall’Antico Testamento nella cultura protestante.
5. Cristianesimo e immagine – Per gli insegnanti
Rappresentare il Cristo, rappresentare il divino
I primi secoli del cristianesimo sono pressoché aniconici, ma nel corso del III e del IV secolo, l’interdizione della figurazione ereditata dal decalogo (Esodo 20), e diversamente interpretata nel mondo ebraico, non è più letta nel suo senso più stretto e letterale.
L’arte paleocristiana riprende, conferendo loro un senso nuovo, dei motivi presistenti, o crea dal nuovo delle rappresentazioni inedite per figurare colui che è al tempo stesso interpretato come vero uomo e vero Dio.
Ciononostante l’immagine del Cristo morto sulla croce è tarda. Nei primi tempi, il Cristo è evocato in maniera simbolica (pesce, ancora, buon pastore…). Nei mosaici dei secoli IV o V, la figura del Cristo appare in medaglioni al punto d’incrocio della croce trionfante, segno della vittoria sulla morte. Quando verso il V secolo, comincia ad essere presentato in croce, è un Cristo in gloria, trionfante e resuscitato, al tempo stesso re e gran sacerdote, rivestito di una lunga tunica e incoronato. Eppure il simbolo del supplizio infamante dela croce è per i cristiani il simbolo del sacrificio del Figlio di Dio per amore degli uomini.
Gradualmente verso i secoli XI e XII, il tema sacrificale prende il sopravvento, la rappresentazione del Cristo evolve verso quella di un uomo sofferente. La messa in scena del dolore corporeo da parte di alcune rappresentazioni condurrà i Riformati (a differenza dei Luterani) a una certa reticenza nei confronti del crocifisso. Dalla fine del XIX secolo e più ancora dopo le due guerre mondiali, il crocifisso è divenuto un’immagine spiazzante, segno dell’umanità sofferente di cui gli artisti si appropriano in margine alle citazioni cristiane, che si tratti di autoritratti d’artista, di clown icompresi, o ancora dell’emblema dell’umanità sofferente in Dix, Chagall, Bacon, Picasso, Dali …
Se la teologia dell’incarnazione ha permesso all’immagine del Cristo di imporsi nell’arte cristiana, la rappresentazione del Dio Padre urta in maniera più diretta con l’interdizione biblica. L’arte cristiana dei primi secoli non rappresenta Dio che sotto la forma del Figlio, parte visibile del Padre, ne testimoniano il Pantocrator Bizantino o la Majestas Domini occidentale (Cristo assiso in trono in maestà), o eventualmente una mano che esce dalle nuvole. Più tardi, il Dio Padre viene suggerito attraverso l’interpretazione trinitaria della rappresentazione dei tre angeli ospitati da Abramo (Gn. 18). Verso il secolo XI, l’immagine del Padre tende ad acquisire delle forme distinte da quelle del Figlio nelle rappreentazioni della Trinità. La figura del Padre come venerabile anziano, ispirato dalla visione del «vegliardo » del libro di Daniele (Dn. 7, 9) che allude a « colui che è da tutta l’eternità », non si impone veramente che nel corso del XV secolo (e venne condannata in Oriente) e in alcuni maestri del Rinascimento, non senza acquisire delle sembianze che ricordano il Giove della tradizione pagana ; essa però declina nell’arte già a partire dal secolo XVIII.
La devozione alla Vergine
Nel culto ortodosso, l’icona della madre di Dio occupa un posto decisivo a fianco a quella del Cristo. La venerazione dell’icona suppone che l’onore che le è attribuito rimanda al prototipo, cioè alla persona rappresentata, secondo un principio di traslazione nei confronti della divinità che richiama la dottrina di Giovanni Damasceno (Discrso sulle immagini, v. 730) e sul quale si fonda il ripristino del culto delle immagini al momento del trionfo dell’ortodossia, mettendo fine alle crisi iconoclaste nel 843. Nel cattolicesimo, la Vergine è oggetto di una venerazione superiore a quella degli altri santi. Ella è ancor più presente nell’arte cristiana che nelle narrazioni dei testi canonici. A discapito del piccolo numero di riferimenti testuali nei vangeli, il posto di Maria nella devozione e nelle rappresentazioni appare molto presto. Il concilio di Efeso (431) la dichiara Théotokos (madre di Dio), nozione figurata dal trono sapienzale dove la Vergine siede in maestà con suo figlio sulle ginocchia. Le rappresentazioni mariane riprendono spesso l’insieme del ciclo cristico, in particolare l’annunciazione, la natività, e gli episodi dell’infanzia. E’ nel secolo XII, al tempo dell’amore cortese, che le è attribuita l’espressione « Nostra Signora », con la quale saranno consacrate tante cattedrali. Ella acquista anche, specialmente nel tema dell’incoronazione, alcuni aspetti allegorici della Chiesa quale « Mater Ecclesia ». Santa tra i santi, la Vergine condensa l’ideale della bellezza femminile e della tenerezza materna tanto che la figura dolorante della Pietà viene a fare eco a quella più umanizzata della Vergine con il Bambino.
Alcune rappresentazioni si concentrano sulla figura di Maria sola, senza il figlio, ma saranno criticate per una possibile mariolatria. Gradualmente, delle devozioni specifiche le sono attribuite che ispirano un’iconografia nuova, tale ad esempio la consegna del rosario a San Domenico da parte della Madonna.
La festa della dormizione della Vergine, celebrata in Oriente, influenza la nascita in Occidente della festa dell’assunzione (15 Agosto), che però non sarà riconosciuta come dogma che nel 1950, pur facendo già parte della pietà medievale ; anche il dogma dell’immacolata concezione, secondo cui la Vergine è esente dal peccato originale, è proclamato solo nel 1854, al tempo delle apparizioni mariane a Parigi (1830) con il culto della madaglia miracolosa, a La Salette (1846) e a Lourdes (1858). Nei primi secoli, la Vergine è spesso vestita di colori scuri in segno di lutto, colori che verso il XII secolo tendono verso un blu un po’ più chiaro, simbolo del mantello celeste della regina del cielo. Con l’arte barocca, la Vergine indossa i colori oro o dorati, simbolo della luce divina e della passione. Nel corso del XIX secolo, il bianco segno di purezza diviene il colore predominante, accompagnato spesso da una cintura blu, richiamo al mondo celeste, secondo le descrizioni delle visioni mistiche del XVI secolo.
Riforma e Controriforma.
In risposta alle critiche della Riforma, il Concilio di Trento prende posizione, nel 1563, sul culto delle reliquie, dei santi e delle immagini e richiama citando le disposizioni del Concilio di Nicea II : « Occorre avere e conservare nelle chiese, le immagini di Cristo, della Vergine madre di Dio, e quelle dei santi […]. Non che si debba credere che vi sia in esse il divino o qualche virtù che giustifica il loro culto, […] ma perché l’onore che si rende loro rimanda ai modelli originali che esse rappresentano.» Il clero si vede affidato un ruolo educatore al fine di combattere le superstizioni e gli abusi denunciati dai protestanti. Attraverso la sua forza seducente, l’arte della Contro-Riforma e poi della Riforma cattolica cerca di radicare l’adesione dei fedeli e fa dell’immagine una forma di predicazione muta che gioca sulle emozioni per esaltare il sentimento religioso, suggerire la manifestazione del divino o ancora, contribuire agli esercizi di meditazione con la sua azione sui sensi. A dispetto di alcuni episodi iconoclasti che segnano l’inizio della Riforma, la posizione protestante nei riguardi dell’immagine è lontana dall’essere univoca. Se Zwingli o Karlstadt ne sono critici e ostili, Lutero vede le pitture come un oggetto neutro, utile o malvagio a seconda dell’uso che ne viene fatto. Egli apprezza in particolar modo le opere di Cranach che mette in scena il tema luterano della Legge e della Grazia (cfr. Modulo « Storia», p. 6). Calvino le interdice nei luoghi di culto, ma ammette che la capacità di concepire un’opera d’arte sia un dono di Dio. Così nell’Olanda calvinista si sviluppa, per commissioni di privati, un’arte profana nella quale il religioso affiora in differenti maniere : vanità che rimandano alla fuggevolezza della vita terrena, nature morte, paesaggi, scene bibliche, interni di chiese spoglie …L’insistenza posta sulla lettura personale della Bibbia in lingua vernacolare come fondamento della fede del cristiano diviene una fonte privilegiata d’ispirazione, con particolare evidenza in Rembrandt, per delle opere non più destinate ai luoghi di culto.
Introduzione alle tradizioni religiose | Introduzione al Cristianesimo II - Temi
5. Cristianesimo e immagine
introduzione
Il cristianesimo dei primi secoli eredita dal giudaismo il rifiuto di ogni adorazione delle immagini e cerca in questo di distinguersi dai culti greco-romani. Malgrado ciò, dai secoli III e IV, le immagini si moltiplicano e il loro uso suscita delle polemiche in seno agli stessi cristiani. Alla fine del VI secolo, il papa Gregorio Magno (590-604) ne difese l’uso in quanto « libri degli illetterati ». Tale affermazione deve essere compresa con qualche sfumatura dato che i programmi iconografici spesso complessi richiamavano alla memoria i temi dei sermoni dei sacerdoti di cui si potevano sovvenire i fedeli, ben più che illustrazioni e insegnamenti direttamente tratti dalle scritture. Dopo il Concilio di Nicea II (787), la Chiesa latina difende una via mediana opposta sia all’iconoclastia sia al culto delle immagini che sta dividendo in quel periodo la Chiesa ortodossa. Poi, in risposta alla riforma protestante, il Concilio di Trento (1563) riafferma la legittimità delle immagini e la possibilità per mezzo loro di onorare i santi e di rappresentarli nei luoghi di culto.
Oggetti di devozione o meri ornamenti, forme di predicazione muta … le forme e le funzioni delle arti visive sono variate seguendo le epoche e gli stili, dedicando largo spazio tra le proprie fonti d’ispirazione alle narrazioni bibliche e a quelle legenadarie cristiane. Nel corso del XX secolo, l’arte religiosa trova ancora espressione nell’estetica moderna, ivi compresa l’arte astratta, tanto che nell’arte contemporanea la figura cristica è lontana dal dirsi sparita.
1.a Il Cristo buon Pastore
Questa statuetta del basso Impero romano rivela un’interpretazione di Cristo influenzata da rappresentazioni diffuse anteriormente. Un giovane pastore, imberbe, dai capelli mossi, vestito di una tunica corta, porta sulle sue spalle un agnello il cui manto e capo levato sono finemente cesellati. L’immagine del re-pastore, antica nella letteratura del vicino Oriente, ritorna a più riprese nella Bibbia per descrivere la relazione del Signore con il suo popolo. Nell’iconografia antica, le rappresentazioni del pastore simboleggiano la filantropia o evocano i mito del pastore Orfeo, disceso e tornato dagli inferi. La figura del pastore che porta in spalla una pecora si trova anche in riferimento a Ermete nel suo ruolo di guida della anime. L’arte paleocristiana si appropria di questa figura già pagana per evocare il Cristo-pastore e il tema della redenzione ; tale iconografia si ritrova sulle pareti delle catacombe o sui sarcofagi cristiani. Nei vangeli, la figura messianica del buon pastore è messa in riferimento a Gesù, colui che non solamente va in cerca della creatura smarrita (Mt, 18, 12) e la porta in salvo sulle proprie spalle (Lc. 15, 3-7), ma che dona anche la sua vita per le sue pecore (Gv. 10, 15).
Scultura del Cristianesimo antico. Musei Vaticani (Roma).
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(08/12/2014)
1.b La Crocifissione
L’immagine della crocifissione è rara nei primi secoli. Durante l’epoca romana, il Cristo comincia gradulamnete a essere rappresentato in gloria sulla croce, quale vincitore sulla morte. Ma il simbolo del supplizio infamante, seppur non inizialmente molto rappresentato, è comunque per i cristiani il segno della redenzione. Gradualmente, a partire deai secoli XI-XII, il tema del sacrificio prende il sopravvento e la rappresentazione di Cristo divine quella di un uomo sofferente, come mostra questo pannello di un a pala d’altare di un pittore fiorentino sconosciuto. Il corpo di Cristo, coperto solo di un fine telo che gli cinge il bacino, si flette e si abbassa sul legno della croce, la testa ricaduta sul lato, gli occhi chiusi e la ferita sanguinante che allude al passaggio verso la morte. Posti in maniera simmetrica da una parte e l’altra della croce, circondati dalle donne pie e dai soldati, la Vergine Maria e Giovanni, il discepolo preferito, esprimono tristezza e rassegnazione. I contrasti di colori vivi e la finezza del drappeggio dei vestiti aumentano l’espressività della scena. Il sangue redentore cola lungo la croce fino al cranio che è ai suoi piedi, ricordo della morte di Adamo. Il supplizio della croce sul Golgota (luogo del calvario) è quello del Cristo come nuovo Adamo, un sacrificio che redime il peccato originario salvando così l’umanità.
Maestro del Codice di san Giorgio (attivo a Firenze, v. 1315-1335).
Pittura del 1330–35 circa. Metropolitan Museum of Art (New York). Disponibile al:
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1.c Cristo in maestà
Il timpano del portale centrale della facciata occidentale della cattedrale di Chartres è databile agli anni 1150 circa, ed è anteriore alla ricostruzione dell’edificio del XIII secolo. Il Cristo vi è presentato in maestà, in una forma a mandorla, in trono affiancato dai simboli dei quattro evangelisti. Questa rappresentazione della Gloria del Crsito si ritrova sul timpano di diverse cattedrali, scolpita in altorilievo, essa accoglie i fedeli con una professione di fede. Il Cristo salvatore è maestro dell’unierso. Da una parte e l’altra, gli evangelisti sono evocati in maniera simbolica citando i quattro viventi della visione d’Ezechiele (Ez 1, 1-14) : un uomo, un leone, un toro alato e un’aquila. Le atribuzioni sono variate secondo le interpetazioni patristiche per fissarsi infine su Matteo-uomo poiché apre il suo vangelo con una genealogia; su Marco-leone, poiché narra la predicazione nel deserto; su Luca-toro, in quanto comincia il suo vangelo con il tema sacrificale (e i tori erano animali usati nei sacrifici) ; e infine su Giovanni-aquila, per il suo lambire le più alte sfere celesti della spiritualità. Secondo alcuni teologi, vi si può anche vedere una lettura del Crsito : uomo per nascita, toro per il sacrificio compiuto, leone per la sua resurrezione, e aquila per la sua ascensione nei cieli.
Cattedrale di Chartes. Timpano del portale centrale del Portale reale (secolo XII).
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2.a Madonna con Bambino
La madre di Dio, Theotokos, secondo il titolo che gli conferisce il concilio di Efeso nel 431, è rappresentata su un fondo oro che suggerisce lo spendore del mondo divino, la testa e le spalle coperte di un maphorion (velo) bordato di rosso. Le tre stelle oro, una sulla fronte e una su ogni spalla (qui, solo una è visibile) richiamano la sua verginità prima, durante e dopo il parto. Con la mano destra, ella designa il bambno Gesù come la via da seguire. Questi, tenendo in una mano un rotolo e l’altra nell’atto della benedizione latina (indice e medio uniti, e le altre dita piegate), mostra la gravità di un maestro di saggezza.
Questa rappresentazione del Berlinghiero, artista italiano dell’inizio del XIII, secolo è ancora molto prossima ai modelli delle icone bizantine che si diffondono in Italia dopo la presa di Costantinopoli (1204). La Vergine che mostra il cammino (hodigitria) è uno dei più diffusi modelli dedicati a questo personaggio, insieme alla Vergine di tenerezza, la Verigne orante o la Vergine in maestà, da cui derivano poi le numerose varianti. Le sottili sfumature nelle pieghe delle vesti e l’allungamento delle linee delle mani esprimono la perfezione dello stile di Berlinghiero.
Berlinghiero (attivo nel 1228 – morto prima del 1236). Metropolitan Museum of Art (New York).
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2.b La Vergine col bambino
Capo della scuola di Siviglia, Murillo è con Zurbarán e Vélasquez, uno dei maestri della pittura barocca spagnola. Oltre ai soggetti religiosi, l’artista ha dipinto numerose scene di diverso genere, e il trattamento di questa Vergine con Bambino si situa al punto di incontro tra scena sacra e profana. I personaggi, figurati con il realismo di una scena d’intimità familiare, si stagliano su uno sfondo scuro, circondati da un alone liminoso che sostituisce aureole o altri segni esplicitamente religiosi. Il panno blu del mantello richiama il colore della regina del cielo, vestita del rosso della passione ; lo sguardo tenero della madre è volto al bambino paffuto e giocoso, che ella sembra voler presentare allo sguaro dei fedeli, e questi dirige lo sguardo verso gli spettatori come se avesse appena sorpreso la loro presenza. Le Madonne del Murillo hanno goduto di garnde popolarità e furono spesso riprese in immaginette di devozione.
Bartolomé Estebán Murillo (Siviglia 1617 – Siviglia 1682). Metropolitan Museum of Art (New York).
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Disponibile al: http://www.metmuseum.org/collection/the-collection-online/search/437175
3.a Pietà
Vicino ai gesuiti, Scipione Pulzone ha dipinto questa pala d’altare per la cappella della passione del Cristo della chiesa del Gesù a Roma. Tra l’episodio della croce e la deposizione nella tomba, il tema della lamentazione sul corpo di Cristo si è sviluppato in maniera parallela alla sensibilità devozionale nei confronti della realtà corporea dell’incarnazione messa alla prova della morte. La composizione pone al primo piano il corpo deposto sulle ginocchia della madre e sostenuto da Giuseppe d’Arimatea, mentre Giovanni tiene la corona di spine. Il pallore cadaverico del corpo languido, appena segnato da qualche traccia di sangue all’interno delle ferite, contrasta con i colori vivi dei mantelli rosso e blu di coloro che lo circondano. Prima della sua inumazione, il Cristo è così offerto alla meditazione dei fedeli che sono invitati a condividere l’emozione delle donne piangenti o della Maddalena, dai lunghi capelli dorati, immersa nel suo dolore e assisa ai piedi del suo Signore. Nel secondo piano, appaiono i primi chiarori dell’alba che spunta già sotto le nubi lasciando sperare nella resurrezione.
Pietà (1593). Scipione Pulzone (Scipione da Gaeta) (attivo nel 1569 – morto a Roma nel 1598). Metropolitan Museum of Art (New York City).
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Disponibile al: http://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/1984.74
3.b Isacco che benedice Giacobbe
Questa scena, tratta dal libro della Genesi (Gn. 27, 20-29), presenta il momento in cui Isacco, il patriarca divenuto quasi cieco, benedice Giacobbe che, con la complicità di sua madre, si fa passare per suo fratello maggiore presentando la mano nascosta sotto un guanto di pelliccia. La silhouette imponente di Rebecca alla destra del quadro sembra ugualmente benedire lo stratagemma di Giacobbe. Sul primo piano a destra, una tavola con i resti di un pasto che compongono una natura morta, rimando al capretto che Isacco ha mangiato al posto della selvaggina che doveva essere cacciata da Esaù. Sul secondo piano a sinistra si indovina il ritorno di colui che aveva venduto il suo diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie. Allievo di Rembrandt, Gerbrand van den Eeckout pone questo episodio chiave della storia di Giacobbe in un ambiente e nei costumi contemporanei a quelli dei suoi committenti. In uno stile ispirato da quello del suo maestro, quest’opera s’inscrive nel gusto del tempo per i soggetti biblici nelle opere destinate ad ambienti e usi di privati.
Isacco che benedice Giacobbe (1642). Gerbrand van den Eeckhout (Amsterdam 1621 – 1674 Amsterdam). license OASC: http://www.metmuseum.org/research/image-resources Rilasciata da: http://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/25.110.16