Tra le figure d’autorità, si trovano i ministri di culto, cioè persone che sono al servizio (è questo il senso del termine « ministro ») della comunità. Le prime comunità cristiane avevano una direzione collegiale, senza gerarchia vera e propria, con degli episcopoi (« sorveglianti »), dei presbyteroi (« anziani ») e diaconoi (« servitori »). I primi erano in particolare incaricati di presiedere l’assemblea e di arbitrare i conflitti. Vi erano inoltre altre cariche di ministero, come quella dei profeti o profetesse.
Poco a poco, secondo una cronologia variabile in funzione dei luoghi geografici, nel corso del II e del III secolo, la direzione diviene progressivamente monarchica con un episcopos, che si può ormai chiamare vescovo ; i suoi poteri aumentano. Questa situazione monarchica appare per la prima volta chiaramente nelle lettere attribuite a Ignazio di Antiochia nella prima metà del II secolo. Il vescovo, capo della comunità cristiana, è al tempo stesso arbitro delle dispute interne, guida teologica e ha un ruolo sacramentale importante; egli si presenta sempre più come successore degli apostoli.
Nel corso del III secolo e dei secoli successivi, diversi vescovi intervengono nei dibattiti teologici dell’epoca, contribuendo alla formazione dei dogmi, di un canone delle Scritture e di una cosiddetta « ortodossia » (giusta opinione). Una gerarchia si viene così instaurando : il vescovo è aiutato nelle sue finzioni dai presbiteri, i sacerdoti (che possono amministrare i sacramenti) e è assistito da dei diaconi, che vegliano sui fedeli e amministrano le risorse comuni.
Con l’aumento delle comunità e lo sviluppo della liturgia, il numero dei minsitri aumenta, e le funzioni si specializzano : lettori, esorcisti, cantori, portieri etc. Alcune funzioni antiche scompaiono, come quella dei profeti e delle profetesse, scomparsa a partire dal III secolo.

Esiste inoltre una gerarchia tra i vescovi, con alcuni vescovi della maggiori città (chiamti più tardi arcivescovi), e dei patriarchi che sono cinque : di Gerusalemma, Antiochia, Alessandria, Roma e Costantinopoli. Il patriarcato di Roma non ha che un primato onorifico, ma a partire dalla seconda metà del IV secolo, esso diventa sempre più prestigioso e l’appellativo di papa (dal latino, « padre ») gli è attibuito in maniera esclusiva in quanto successore dell’apostolo Pietro. Questa gerarchia della chiesa ha una base territoriale che ricalca in larga parte la suddivisione amministrativa dell’impero romano. Essa contribuisce così a cristianizzare l’impero.
Col tempo, due patriarchi acquistano la preminenza sugli altri : quello di Roma e quello di Costantinopoli (vedi il modulo « storia del cristianesimo »). Entrambi sono a capo di una Chiesa, da un lato quella latina e dall’altro quella greca, divenute poi cattolica e ortodossa. Ma se il mondo latino cattolico si struttura in maniera molto gerarchizzata sotto l’autorità del papa, il mondo ortodosso resta plurale, con il costituirsi di diverse chiese autocefale nel corso del secondo millennio. Così la Chiesa russa nel XV secolo si dota del proprio patriarca, a Mosca, potenzialmente concorrente a quello di Costantinopoli ; e vediamo questa rivalità riemergere anche oggigiorno.
Nei due mondi, quello cattolico e ortodosso, i ministri di culto, diaconi, sacerdoti e vescovi, ricevono il sacramento dell’ordine, l’ordinazione. Ciò crea una differenziazione tra i laici (che non hanno ricevuto questo sacramento dell’ordine e che possono invece ricevere il sacramento del matrimonio) e il clero (che riceve al contrario il sacramento dell’ordine e non quello del matrimonio). Sussiste tuttavia una differenza : nessun membro del clero cattolico può sposarsi ; nel mondo ortodosso se così è nel caso di vescovi e monaci, d’altra parte uomini sposati possono ricevere il sacramento per divenire sacerdoti (popes). In nessun caso le donne possono ricevere invece l’ordinazione nella chiesa cattolica e ortodossa e quindi non possono né predicare né amministrare i sacramenti. Ciononostante le donne possono avere una vita religiosa e esercitare un ruolo religioso come diaconesse, figure attestate dai tempi delle prime comunità cristiane, o come monache o  beghine (in particolare nell’Europa renana, a partire dall’inizio del secondo millennio).
Oggi, nel mondo cattolico, se la posizione della Chiesa si è distesa nei confronti della donna (secondo il giudizio maschile), non vi è stata tuttavia evoluzione circa la possibilità di un ministero femminile, mentre i dibattiti in merito a questa questione aumentano e sempre più crescono le responsabilità assunte da donne nelle varie chiese cattoliche.
Nel mondo protestante, l’idea del sacerdozio universale (chiuque possa e chiuque ne sia riconosciuto capace dalla comunità può predicare) ha condotto ad accettare che i ministri di culto possano essere sposati e che l’approvazione che essi ricevano dagli organismi ecclesiastici non sia un sacramento. I luterani hanno in più conservato una struttura ecclesiastica gerarchica ereditata dal cattolicesimo romano : pastore, decano, e ispettore ecclesistico. L’idea del sacerdozio univresale porta potenzialmente a un’apertura del ministero pastorale alle donne. Ma il peso della mentalità e l’accento posto sui testi biblici, in particolare la valorizzazione dei discorsi paolini che affermano che l’uomo è superiore alla donna ontologicamente e storicamente, furono per molto tempo un freno a questa evoluzione. Nondimeno, numerose donne protestanti giocarono un ruolo importante in seno alle comunità protestanti. Alla fina del XIX secolo, alcune chiese evangeliche fuono le prime ad aprire il pastorato alle donne. Seguirono questa tendenza la maggior parte delle chiese riformate e luterane dopo il 1945.