Eventi chiave per la tradizione: Diffusione in Tibet
Il Buddhismo tibetano, chiamato anche (erroneamente) Lamaismo, è un ramo del Buddhismo Vajrayana (Tantrico, o Esoterico) che si è evoluto nel Tibet dal VII secolo d.C. in poi. I suoi complessi rituali tantrici richiedono un uso attivo del corpo, della voce e dei sensi (per approfondimenti vedi modulo sul Buddhismo I sez. 7). Una delle caratteristiche del Buddismo Vajrayana tibetano consiste nel suo complesso sistema di interconnessioni tra pratiche rituali, oggetti rituali e cardini dottrinali. Il Buddhismo tibetano comprende anche le discipline monastiche del Buddhismo delle origini e gli aspetti sciamanistici della religione indigena tibetana, Bon.
Il Buddhismo tibetano si distingue per varie peculiarità: l’alta percentuale della popolazione impegnata in attività religiose (prima della presa di potere da parte della Cina comunista negli anni Cinquanta un quarto della popolazione apparteneva a un ordine religioso); il sistema di “lama che si reincarnano”; la tradizionale concentrazione di potere spirituale e temporale nella carica e nella persona del Dalai Lama; infine, il vasto numero di esseri divini che vengono considerate al tempo stesso divinità e rappresentazioni simboliche della vita spirituale.
All’epoca della conversione del Tibet al Buddhismo (dal VII all’XI secolo), la forma più dinamica del Buddhismo in India apparteneva alla tradizione Vajrayana e fu quindi quella tradizione che prevalse in Tibet. Si sa molto poco riguardo il primo periodo della conversione (dal VII all’IX secolo). Varie scuole tibetane fondate nell’XI e nel XII secolo fanno risalire i loro lignaggi a particolari santi indiani.
Entro il XIV secolo, i tibetani erano riusciti a tradurre tutta la letteratura buddhista disponibile nell’India e nel Tibet; molti testi in sanscrito che non sono sopravvissuti nei loro paesi d’origine sono conosciuti solo attraverso le loro traduzioni tibetane che formano il cosiddetto Canone tibetano.
Il Tibet è anche l’unico paese nel quale i Buddhisti hanno stabilito un governo teocratico di lunga durata. Nel XII secolo, i gruppi monastici tibetani crearono legami con i potenti regnanti mongoli che spesso concedevano loro la gestione di questioni governative. Nel XVII secolo, la scuola Gelug, conosciuta anche come la setta dei Capelli Gialli ( l’ordine del Dalai Lama) , collaborò con i Mongoli per stabilire un regime monastico che ha mantenuto un controllo quasi ininterrotto fino all’invasione cinese degli anni cinquanta.
Contrariamente a quanto si ritiene, il Dalai Lama non è né il capo dei Buddhisti di tutto il mondo né alla guida del Buddhismo tibetano. Il Dalai Lama è il monaco capo della scuola Gelug del Buddhismo tibetano. L’attuale Dalai Lama, il quattordicesimo, è Tenzin Gyatso, ed è riconosciuto come tale dal 1950.
Il
Dalai Lama è tradizionalmente ritenuto il successore in una linea di maestri considerati manifestazioni di
Avalokiteśvara, il
Bodhisattva
della Compassione (vedi anche il modulo sul Buddhismo I sez. 6). Il nome
Dalai Lama abbina la parola mongola "dalai" che significa "oceano" alla parola tibetana "lama" che significa "guru, insegnante o mentore". La parola tibetana corrisponde al termine sanscrito più diffuso "guru" (vedi anche sez. 6 e modulo sull’Hinduismo sez. 11)
Durante la seconda metà del XX secolo il Buddhismo tibetano si diffuse in Occidente, subendo un’accelerazione quando l’assoggettamento del Tibet da parte del governo comunista cinese spinse molti rifugiati, inclusi i “lama reincarnati” tenuti in alta considerazione, a lasciare la propria patria. I gruppi religiosi tibetani in Occidente comprendono sia comunità di rifugiati che gruppi di occidentali attirati dalla tradizione tibetana. Vedi anche sez. 6 del presente modulo.
Analisi delle fonti
Fonte 1:
vedi sopra Eventi chiave per la tradizione: Diffusione in Tibet
Fonte 2:
Mandala di sabbia
Il mandala è un simbolo rituale e spirituale del Buddhismo (ma anche dell’Hinduismo) che rappresenta una correlazione tra Universo (diviso in vari regni, Buddha, divinità, ecc) e la mente umana (divisa in vari stati di coscienza, emozione, desideri ecc). La maggior parte dei mandala prende la forma di un quadrato con quattro portali contenente un cerchio con un punto centrale.
I mandala hanno vari usi: come strumento di guida spirituale per focalizzare l’attenzione dei praticanti, creazione di uno spazio sacro, e come ausilio nella meditazione e induzione di trance.
La tradizione buddhista tibetana usa la sabbia per creare i mandala che vengono distrutti appena completati. La distruzione ritualistica di un mandala di sabbia simboleggia la natura transitoria di ogni cosa.
Fonte 3
Vajra, oggetto rituale
Il vajra (può significare sia "diamante" che "fulmine") è una specie di mazza formata da due parti che si incontrano in un elemento centrale. I raggi che compongono le due parti possono terminare in una sfera all’estremità oppure restare aperti per renderla un’arma da punta. Il vajra viene usato simbolicamente col significato di fermezza di spirito e forza spirituale. L’uso del vajra come oggetto simbolico e rituale si è diffuso insieme alla religione e cultura indiana in altre regioni asiatiche, soprattutto nel Tibet e nel Giappone.
Nelle tradizioni tantriche del Buddhismo, il
Vajra è uno simbolo della vera natura della realtà, ovvero la
Vacuità
non intesa in modo negativo ma come simbolo di creatività e potenzialità infinite. La versione più comune di
vajra è a cinque raggi (quattro esterni e uno centrale). Esiste un sistema elaborato di corrispondenze tra i cinque raggi e gli insegnamenti buddhisti tibetani.
Fonte 4
Mudra
Le
mudra furono introdotte dall’India nel Tibet nel VIII secolo d.C. Divennero parte di un linguaggio rituale che utilizzava i
mantra (invocazione sacra),
mudra, e lo scettro a forma di fulmine, o
vajra. Un
mantra deve essere visualizzato prima nella mente poi pronunciato come suono e, in fine, espresso attraverso gesti o
mudra. Quindi, sguendo gli insegnamenti del Buddhismo
Vajrayana, si attivano la mente, la parola e il corpo. In questo modo il praticante può raggiungere l’
Illuminazione
attraverso il proprio corpo.
Nei
mudra viene attribuito un preciso significato a ogni mano e ogni dito. La mano destra ad esempio è associata con la luna e con il principio maschile. Rappresenta la
Compassione. La mano sinistra è associata con il sole e con il principio femminile, e rappresenta la
Saggezza
Esempi dei vari tipi di
mudra sono raffigurati in molte statue buddhiste.
Un esempio dei significati dei tre mudra nella Fonte 4 (dall’alto verso il basso)
Argomento intellettuale
Il gesto di dibattito e discussione indica sia comunicazione che esegesi dell’insegnamento buddhista. Le punte di pollice e indice si toccano, formando un cerchio. Le altre dita sono estese verso l’alto.
Preghiera, adorazione, saluto, reverenza
In India, questo gesto rappresenta un saluto e rispetto. Nell’iconografia buddhista simboleggia l’adorazione. Se posizionato sotto la bocca, rappresenta un omaggio verso la parola dell’insegnante. Per questo motivo non viene mai raffigurato sul Buddha che è egli stesso oggetto di reverenza. Le due mani premute insieme rappresentano anche lo statico e il dinamico. Le mani sono tenute vicine al petto in atteggiamento devoto con le palme e le dita premute insieme.
Meditazione
Il più alto stato di coscienza può essere raggiunto tramite una profonda concentrazione, tranquillità e l’identificazione con la suprema unità. Questo gesto di meditazione, fatto con entrambe le mani o soltanto con la sinistra, indica profonda concentrazione o equilibrio totale. Entrambe le mani vengono posate in grembo, mano destra appoggiata sulla sinistra, tutte le dita estese e palmi rivolti verso l’alto. I pollici si sfiorano.