La base testuale della religiosità hinduista si trova nel corpo di testi chiamato i Veda (letteralmente: scienza sacra). In origine erano costituiti da una vasta raccolta di dottrine, composte intorno al 1500–1000 a.C., trasmesse oralmente e conservate in forma scritta solo in tempi relativamente recenti (I sec. a.C.). I Veda sono stati rivelati direttamente ai Rishi (saggi o veggenti) dagli dèi stessi, quindi non sono considerati una creazione umana. Sono concepiti come verità rivelate (Shruti). Per questo motivo anche il loro linguaggio è considerato sacro.
Il nucleo più antico consiste in quattro raccolte: 1) il Rgveda, o Inni, che celebra varie divinità; 2) il Samaveda, o Melodie, elaborazioni musicali degli Inni che vanno cantate durante i riti; 3) i Yajurveda, o formule sacrificali e 4) l’Atharvaveda, o formule propizie, la raccolta meno importante per lo svolgimento del rito sacrificale.
Gli altri testi dei Veda sono i Brahmana e le Arankya, che sono commentari liturgici collegati alle quattro raccolte descritti qui sopra.
Di epoca molto più tarda (500 a.C.) sono le Upanishad, testi concepiti come la conclusione dei Veda, ma anche come loro scopo ultimo, perché offrono una speculazione filosofiche relativa ai precedenti testi vedici, speculazione che ha formato la classica visione del mondo indiana. Per questo motivo gli studiosi considerano le Upanishad come una specie di ponte che collega tale religione vedica all’Hinduismo propriamente detto.
Divinità, esseri divini: il Pantheon vedico
Le quattro raccolte descrivono un’antichissima pratica religiosa incentrata sullo svolgimento del sacrificio rituale per evocare gli dèi e chiedere benefici come la ricchezza, la discendenza, il potere e persino l’immortalità. Il pantheon comprende un numero di dèi con caratteristiche non sempre ben distinte.
Queste divinità appartengono a due gruppi principali: i Deva e gli Ashura; quest’ultimi sono i più antichi e sono rivestiti di poteri occulti e nell’Hinduismo più tardi tenderanno ad assomigliare a demoni.
Il RgVeda elenca 33 divinità. Alcuni sono personificazioni di elementi come Vayu il Vento o Visavat lo Splendente (epiteto del sole). Indra, il dio guerriero, è l’eroe “nazionale” della civiltà vedica. La sua vittoria su un drago mitologico rimanda al soggiogamento degli abitanti originali del subcontinente indiano da parte delle tribù Indo-Arie dell’Asia centrale che invasero la valle dell’Indo e diedero origine alla civiltà indiana.
Un altro deva importante è il Purusha, l’uomo primordiale che viene sacrificato e smembrato dagli dèi affinché avessero origine il mondo e l’ordine nella società (vedi sezione 8).
Infine, un’altra divinità molto importante è Agni, dio del fuoco (cfr. latino ignis) e colui che accetta i sacrifici. Infatti, Agni è il mediatore tra gli dèi e gli umani e grazie a lui i sacrifici giungono agli dèi. Volendo assimilare questo pantheon a quello greco, bisogna ricordarsi di una differenza fondamentale che è spiegata qui sotto nella sezione "Informazioni interculturali e interdisciplinari".
Principali riti: il sacrificio vedico
È evidente che il sacrificio svolge un ruolo centrale nell’origine delle religioni hinduiste.
Ci sono due tipi di rito vedico: solenne e domestico. Il rito solenne vede la partecipazione di un certo numero di sacerdoti in proporzione all’importanza dell’occasione e ai benefici richiesti. Il sacrificio di un cavallo che veniva celebrato da un re per legittimare suo status da sovrano universale poteva durare un anno intero, mentre i riti domestici potevano essere officiati dal capo famiglia.
Il sacrificio vedico comportava l’immolazione di una vittima sacrificale sull’altare di fuoco (simbolo di Agni). Il suo significato non era limitato alla mera richiesta di benefici mondani, ma è molto più profondo: attraverso la vittima sacrificale, il committente rituale (colui che pagava gli officianti e procurava la vittima sacrificale) si sacrifica in modo simbolico, ricreando il mito del Purusha (vedi sopra) il cui sacrificio diede origine al mondo. In altre parole, ogni volta che ha luogo, il sacrificio ricrea l’ordine cosmico, o rta (cfr. latino ritus).
Anche se rappresenta il germe dell’odierna religiosità hinduista, l’antico rito vedico è ormai quasi estinto come pratica religiosa. La sua rilevanza e sua influenza si fanno ancora sentire attraverso numerosi riti induisti come il matrimonio che viene sempre celebrato in presenza di un altare di fuoco.
Autorità: i Brahmani
Il brahmano è termine che si riferisce un individuo che appartiene a una classe di sacerdoti, artisti, insegnanti hindu, oltre che all'individuo appartenente alla casta brahmanica nella quale è nato. L’etimologia è collegata alla parola Brahman che si riferisce all’aspetto creativo dell’Assoluto o del Dio Supremo. I brahmani sono i sacerdoti responsabili per i riti religiosi nei templi e nelle case. Dopo una formazione rigorosa nei Veda e in altri riti religiosi possono dare consigli e trasmettere la conoscenza dell’Assoluto agli altri membri della società. La parola inglese “Brahmin” (da cui l'italiano "Bramino") è una forma anglicizzata della parola sanscrita Brahmana, il titolo dei commentari liturgici descritti qui sopra. Il loro colore simbolico è il bianco, che esprime purezza.
Contestualizzazione e analisi delle fonti.
Fonte 1
Il Rgveda: Rgveda I.1
Questo è il primo inno della raccolta Rgveda. Agni è il primo dio nominato, segno della sua importanza. L’inno descrive il modo in cui Agni può portare fortuna agli uomini nel suo ruolo di mediatore tra gli uomini e gli dèi. Agni non è soltanto la personificazione del fuoco, ma simboleggia anche il ruolo del sacerdote.
L’ottava strofa esemplifica anche il significato fondamentale del sacrificio: mantenimento dell’ordine cosmico. Agni quindi non è solo responsabile del sacrificio ma anche custode dell’ordine cosmico.
Fonte 2
Il Rgveda: Rgveda X, 129 e I, 164
Vedi la sezione "Informazioni interculturali e interdisciplinari."
Il rito del fuoco
Informazioni integrative: le persone vestite di bianco sono i brahmani; il soma è una bevanda mitica che indurrebbe visioni delle divinità.
Commentatore: "Più di 3000 anni fa, nomadi giunsero in India. Parlavano una lingua indoeuropea chiamato Vedico. Composero i quattro Veda che successivamente sarebbero stati considerati delle rivelazioni sacre per l’Hinduismo. La raccolta più antica è il Rgveda. A differenza della Bibbia che significa letteralmente “i libri”, i Veda venivano trasmessi senza l’ausilio della scrittura, parola per parola, da padre in figlio, da insegnante a studente. I nomadi vedici usavano materiali deperibili come la terracotta, il legno e l’erba. Agni, il dio del fuoco, era sempre tenuto in vita. Durante i loro spostamenti veniva portato in contenitori. Durante le soste, in stele o in altari. Il fuoco veniva venerato ritualmente durante le cerimonie come l’Agnistoma, o "L’elogio di Agni". Lo sviluppo dell’Hinduismo ha portato al declino dei riti vedici. Considerati estinti dal Medioevo, questi riti di sacrificio sono riusciti a sopravvivere in luoghi molto remoti. Con l’aiuto di Agni e attraverso la recitazione dei mantra vedici, il committente rituale, o sacrificante, chiede potere, ricchezza, figli e immortalità agli dèi. L’altezza del sacrificante veniva usata per calcolare le dimensioni dell’altare e del recinto sacro, calcoli che avrebbero portato alla nascita di un ramo della matematica chiamato geometria. Infatti anche le dimensioni dei quadrati, dei rettangoli e dei triangoli usati nella costruzione erano calcolati in base all’unità di misura prodotta dall’altezza del sacrificante. A differenza del successivo tempio hinduista, il recinto vedico era sempre una struttura temporanea. Il grande altare era fatto di mattoni. I mattoni utilizzati risalgono alla civiltà della valle dell’Indo che era antecedente ai Veda. Lo Yajurveda descrive un altare di fuoco costruito da mille mattoni nel X secolo a.C. L’altare in forma di uccello si chiama Agnicayana, "accumulo di Agni". I riti collegati alla costruzione dell’altare proseguono durante la notte dando origine al nome Athirathram o “che dura tutta la notte”. Un’estremità del recinto sacro rappresentava la casa del sacrificante. Erano altari semplici fatti di argilla. Un altare circolare rappresentava il focolare della cucina. Un altare semi-circolare è rivolto verso sud. Accanto all’altare vengono custoditi gli strumenti rituali.”
Bramino: "Secondo il Rgveda, l’uomo che compie l’Agnistoma e l’Athirathra si innalza in cielo grazie alla consumo di soma. [...] "Bevemmo il soma, poi [...] siamo diventati immortali". "È questa la credenza che noi Nambutiri trasmettiamo."
Commentatore: "Per essere ammesso al rituale del soma il bramino deve tenere tre fuochi sacri nella sua casa per tutta la sua vita. I tre fuochi vengono portati al recinto sacro insieme a dei blocchi di legno e a un trapano per fare un nuovo fuoco. I tre fuochi vengono collocati là temporaneamente. Ad occidente, il fuoco domestico, chiamato Gharapatya, o altare domestico, viene usato per cucinare l’oblazione. A sud, il fuoco meridionale, chiamato Daksinagni, o altare meridionale, per allontanare influssi maligni. A est, il fuoco sacrificale, chiamato l’Ahavaniya, o altare sacrificale, viene usato per fare l’oblazione. Tutti i riti vengono compiuti in nome del sacrificante o Yajmana. Durante l’offerta che viene chiamata [...], i sacerdoti invocano gli dèi, pregandoli di scendere in terra per partecipare all’oblazione. Le offerte vengono versate nel fuoco, e Agni le trasmette agli dèi.
Informazioni interculturali e interdisciplinari.
(Storia)
Il pantheon vedico potrebbe fa pensare che l’antica religiosità indiana fosse politeistica (fondata sul culto di più divinità) come il pantheon greco. In realtà, l’inno nella Fonte 2 afferma l’esistenza di una realtà superiore a questa moltitudine di dèi, e i saggi intuiscono che tutte queste divinità rappresentano diversi aspetti di uno stesso dio o entità divina.
Per questo motivo, gli studiosi preferiscono usare il termine enoteismo. Il termine fu coniato da Max Müller (1823-1900), uno dei primi orientalisti. L’enoteismo è la credenza e la venerazione di una singola divinità senza negare l’esistenza reale o possibile di altre divinità che possano anche esse rappresentare oggetto di culto. Nel caso della religione vedica, sembra che la funzione di Dio Supremo può essere assunta da diverse divinità che vengono considerate come aspetti diversi, o personificazioni, di un Essere Supremo. Questa credenza sarà fondamentale per lo sviluppo successivo del concetto di Ishvara, Dio Supremo dell’Hinduismo.