Le Upanishad sono i testi finali del corpo dei Veda, la base testuale della religiosità hinduista. I Veda (letteralmente: scienza sacra) furono composti attorno al 1500–1000 a.C., trasmessi oralmente e resi in forma scritta soltanto in tempi recenti (I sec. a.C.). Questi testi sono stati rivelati direttamente ai Rishi (saggi o veggenti) dagli dèi stessi, quindi non sono considerati una creazione umana. Per questo motivo anche il loro linguaggio è considerato sacro.
Nelle Upanishad (composte attorno al 500 a.C.) vediamo emergere per la prima volta alcuni dei concetti religiosi fondamentali dell’Hinduismo. Sono anche conosciute come Vedanta ("fine dei Veda"). Questo nome non le denota solo come testi più tardi ma anche come fine ultimo dei Veda, per la speculazione filosofica che offrono riguardo ai testi vedici precedenti. Fu questa speculazione a formare la classica visione del mondo indiana.
I devoti hinduista credono che le Upanishad contengano verità rivelate (Shruti) riguardo la natura della realtà ultima (Brahman) e che descrivano la natura della salvezza umana (moksha).
Sono conosciute oltre 200 Upanishad; il nucleo più antico e più importante è formato da una dozzina di testi che vengono definite le principali Upanishad.
Eventi cruciali per la tradizione: cambiamento nella visione religiosa del mondo
Tra l’VIII e il III secolo a.C., una pluralità di fattori, fra cui un’aumentata urbanizzazione, il nuovo ruolo sociale acquisito dalle donne, e l’emergere dei laici contribuì a un processo di rinnovamento religioso. Si passò da una visione ottimista della vita a una pessimista: la vita in questo mondo fu concepita come un'esistenza dolorosa da superare rinunciando alla vita sociale e svolgendo pratiche ascetiche (meditazione, digiuni) nella natura selvaggia. Questa è la visione del mondo dei cosiddetti shramana (rinuncianti) che formarono un movimento in contrasto con l’ortodossia dei riti vedici esistenti.
Gli shramana erano contrari alle pratiche sacrificali connesse al rito e propugnavano un’interiorizzazione del sacrificio: attraverso la pratica ascetica, l’asceta sacrifica sé stesso.
La tradizione shramana contribuì alla creazione del concetto del ciclo di nascita e morte (samsara) e della liberazione (moksha), che furono successivamente assimilati, diventando caratteristiche dell’Hinduismo.
Questo processo viene riflesso nelle dottrine delle Upanishad (vedi sopra).
Fondamenti dottrinali: la dottrina hinduista condivisa presente nelle Upanishad
Quali sono allora le dottrine delle Upanishad? In sostanza, possono essere spiegate tramite quattro termini base, ognuno dei quali illumina gli aspetti etici, escatologici, soteriologici e teologici dell’Hinduismo.
Etica
Karman: in origine, questa parola esprimeva la capacità delle azioni rituali a influenzare la realtà. Poi le Upanishad la trasformarono in un principio etico, una legge universale di causa ed effetto che vincola l’uomo alle sue azioni. Secondo la teoria della rimunerazione delle azioni, le azioni svolte dall’uomo hanno delle conseguenze durante la sua vita presente e futura. Queste conseguenze possono essere positive, negative o neutre. In ogni modo, il concetto lega l’uomo al ciclo delle rinascite.
Escatologia
(Dal greco eschatos "ultimo". Questa parola si riferisce ai discorsi religiosi sulla fine della vita, la vita dopo la morte e la fine del mondo).
Samsara è l’eterno ciclo delle rinascite ed è collegato al concetto di karman. Il tipo e la qualità della rinascita sono determinati dalle azioni svolte nella vita precedente. In base al suo karman, un uomo può rinascere nei cieli come un dio, precipitare negli inferi più profondi, o iniziare una nuova vita in forma di una pianta o di un animale. Ciononostante, tutte queste rinascite sono temporanee, e l’uomo è condannato a una reincarnazione interminabile che alla fine viene considerata sofferenza. Anche se nasce come un dio, inevitabilmente gli spetterà un’esistenza successiva inferiore. La rinascita come uomo è considerato un destino molto prezioso in quanto rappresenta l’unica e rara occasione per il raggiungimento della liberazione (moskha).
L’origine della sofferenza nell’Hinduismo, cioè, l’origine del samsara, non è ben definita. Non è questione di un “principio maligno” in opposizione a un “principio benigno”. Tuttavia si pensa che il samsara sia radicato nell’eterna ignoranza senza origine dell’uomo. Ignoranza rispetto a che cosa? Ignoranza della natura illusoria del mondo e dell’Assoluto alla sua base (vedi sotto).
Soteriologia
(Dal greco soteria: "salvezza". Questa parola si riferisce ai discorsi religiosi sulla natura della salvezza e su come raggiungerla).
Moksha significa liberazione dal ciclo di reincarnazione, ed è il fine ultimo dell’esistenza. In sostanza, consiste nel fermare il meccanismo karmico. Per realizzare questo scopo bisogna ottenere, o meglio, sperimentare la Verità. Quale verità? Che dietro l’impermanenza del samsara c’è un Assoluto (vedi Brahman qui sotto), il cui equivalente è l’Atman (il "Sé"), la scintilla d’eternità in ogni uomo. L’uomo che si è reso conto che la realtà è mera illusione non prova più desiderio verso il mondo. Si è distaccato da esso e perciò non produce più karman.
Tradizionalmente si può attingere a questa conoscenza seguendo tre strade: quella rituale, quella ascetica e quella devozionale, ma in realtà spesso si sovrappongono.
Teologia
(Dal greco theos: "dio". Questa parola indica i discorsi religiosi riguardo la natura dell’Assoluto, di Dio, degli dèi, degli spiriti e così via).
Brahman è l’Assoluto che è etimologicamente collegato alla parola brh (espandersi, crescere). È il fondamento eterno della realtà di un mondo che esiste in un ciclo continuo di nascita, crescita e distruzione. Brahman può essere concepito come un principio impersonale o come un dio supremo.
Analisi delle fonti.
Fonte 1
Brhadaranyaka Upanishad
Questo estratto descrive due aspetti fondamentali del pensiero hinduista: l’identità tra Sé (Atman) e il Brahman, e il ruolo del karman nel ciclo delle rinascite.
In sostanza, il Sé viene identificato con l’intelletto, con i sensi, ma ha anche una natura materiale (è composto dai quattro elementi).
A seconda delle azioni l’Atman può diventare cattivo e pieno di desideri, oppure buono e privo di desideri. Alcuni credono che l’Atman possa consistere esclusivamente di desideri (ad esempio, desiderio della vita) ma sbagliano. Infatti, solo eliminando tutti i suoi desideri l’uomo potrà finalmente smettere di trasmigrare e diventare un tutt’uno con il Brahman, mentre l’uomo che desidera resterà attaccato al mondo, producendo karman e trasmigrando in eternità.
Fonte 2
Chandogya Upanishad
Questo estratto spiega la natura etica della legge del karman. Grazie alle sue buone azioni un uomo potrà rinascere bene, come un brahmano (sacerdote hinduista), guerriero o mercante (vedi anche Sez. 8 di questo modulo), mentre le cattive azioni porteranno a un’esistenza su un livello inferiore. Questo estratto descrive anche l’importanza della figura del brahmano.
Fonte 3
Questa foto è un ritratto di un sadhu vicino al tempio di Kedarnath nello Stato di Uttarakhand in India. I suoi cappelli aggrovigliati sono un segno del suo rifiuto dei valori rigidi e conformisti della società hinduista convenzionale.
Informazioni interculturali e interdisciplinari.
Vegetarianismo
Secondo la visione del mondo come samsara, l’anima di un individuo può rinascere in forma animale o vegetale.
Per evitare di produrre cattivo karman è meglio non uccidere gli animali. Di conseguenza gli Hinduisti tendono a rispettare ogni forma di essere vivente. Infatti, i brahmani, che sono responsabili per la trasmissione di molte tradizioni religiose hinduiste, tendono a essere vegetariani.
Link alle pagine degli altri moduli
Cristianesimo II. Tematiche, sez. 3
Ebraismo II. Tematiche, sez. 1
Islam II. Tematiche sez. 2 e 3
Buddhismo I. Breve panoramica sez. 3 e 4