Divinità, esseri divini.: Vishnu, Krishna
La radice del nome Vishnu significa “pervadere”, e fa riferimento a uno scritto che parla di Vishnu che scende in terra per misurare la grandezza del mondo in tre passi che simboleggiano l’alba, mezzogiorno e il tramonto. Nel nucleo più antico dei Veda, i testi sacri dell’Hinduismo, non svolge un ruolo centrale, mentre nei testi più tardi come i Brahmana (testi liturgici), acquisisce gradualmente importanza nella forma di Ishvara (Dio Supremo, vedi sotto) che ha il dovere di conservare il cosmo.
Vishnu è un dio magnifico e benevolo che scende in terra nella forma di un avatara (vedi sotto) per ristabilire l’ordine cosmico corrotto. Uno dei suoi avatara più celebri e più riveriti è Krishna, il protagonista di uno dei più importanti testi hindu, la Bhagavad Gita (vedi sotto).
Data la natura di Dio Supremo onnipresente e benevolo, il suo culto si è sviluppato in una modalità devozionale oggi condivisa dalla maggioranza dei credenti hindu, chiamata bhakti (vedi sotto).
Fondamenti dottrinali: concetto del Dio Supremo (Ishvara)
Si afferma spesso che l’Hinduismo sia una forma di religione politeistica ma sarebbe più corretto definirla come enoteismo. L’enoteismo è la credenza in e venerazione di un unico dio senza però escludere l’esistenza di altre divinità da venerare. Il concetto centrale dell’Hinduismo è Ishvara (il Signore). Questo termine appare nel poema epico Bhagavad Gita (vedi sotto) e identifica il Dio Supremo che sostiene il cosmo, il quale che è emanazione del Dio Supremo stesso. Il Dio Supremo è quindi la personificazione del Brahman che costituisce il fondamento eterno della realtà di un mondo che esiste in un ciclo continuo di nascita, crescita e distruzione. Per questo motivo Ishvara è diverso dalle altre divinità, le quali, bensì superiori agli uomini, sono sempre soggette al samsara e al karman (ciclo di reincarnazione e la legge della retribuzione delle azioni).
L’Hinduismo può essere definito come religione politeistica nel senso che ci sono tantissime divinità diverse—tradizionalmente si contano almeno 330 milioni! Spesso, però i credenti hinduisti venerano una forma particolare del dio o della dea come il Dio Supremo, chiamato anche Ishtadevata, "dio d'elezione" o "dio personale". Alcune di queste forme del Dio Supremo sono venerate in tutta l’India mentre altre sono conosciute solo a livello locale.
Fondamenti dottrinali: concetto della discesa di Dio in terra (avatara)
Un concetto strettamente legato all’idea di Ishvara è quello dell’avatara. Il termine significa letteralmente “discesa” e si riferisce alla forma assunta dal Dio Supremo nella sua manifestazione in terra per ristabilire l’ordine cosmico collassato. In origine questa dottrina si riferiva alla divinità Vishnu, e la sua principale fonte testuale era la Bhagavad Gita (vedi sotto). Presto il concetto fu assimilato anche da altre tradizioni religiose che veneravano altre divinità come Dio Supremo. Nell’India odierna ogni Dio Supremo ha una serie di avatara, che includono uomini, animali e divinità minori.
Principali tradizioni dottrinali: la devozione Bhakti; Vishnuismo
Nell’Hinduismo bhakti significa devozione religiosa basata sul coinvolgimento attivo del devoto nella venerazione del divino. Riguarda l’amore che l’adoratore prova verso il suo dio personale, Ishtadevata (vedi sopra). Durante il periodo medioevale dell’Hinduismo (500-1500 d.C.) si assiste all’affermazione del movimento in tutto il subcontinente con crescita rapida nell’India meridionale in particolare. Il bhakti privilegia la devozione e il sentimento religioso rispetto al rituale e all’ortoprassia. È un aspetto integrante della cultura hinduista e della società indiana moderna. Il principale testo promotore della religiosità bhakti è ancora il Bhagavad Gita. Non è sorprendente quindi scoprire che uno dei più importanti movimenti bhakti è il Vishnuismo, uno dei principali rami dell’Hinduismo incentrato sulla venerazione di Vishnu. Il devoto di Vishnu deve dedicare l’intera vita all’adorazione di Vishnu, con un comportamento come quello dell’amante verso la sua amata. Lo scopo della venerazione di Vishnu è mettersi completamente nelle mani del dio che salverà il suo devoto dal ciclo delle rinascite per via della sua grazia.
Testi sacri e altri testi fondamentali: il Bhagavad Gita
Il Bhagavad Gita è un poema di 700 versi che fa parte del grande poema epico hindu Mahabharata. È uno dei testi sacri degli Hinduisti. Ci sono molte ipotesi contrastanti sulla data della sua composizione. Gli studiosi ritengono probabile una data fra il V e il II secolo a.C.
La struttura narrativa del Bhagavad Gita è un dialogo tra il principe Arjuna e la sua guida, il Signore Krishna, incarnazione del Dio Supremo Vishnu (vedi sopra). Arjuna, esitante di fronte al dovere di uccidere i propri parenti, è spronato dal suo auriga, il Signore Kṛiṣhṇa, insieme ad altri, a compiere il suo dovere da guerriero uccidendoli. L’esortazione prende la forma di un dialogo su come ottenere la liberazione dal ciclo delle rinascite.
Il Bhagavad Gita presenta una sintesi del concetto di Dharma (l’ordine cosmico), della devozione bhakti, della dottrina di avatara e degli ideali della liberazione.
Contestualizzazione e analisi delle fonti:
Fonte 1
Vishnu
Questa stele raffigura il dio hindu Vishnu, accompagnato da due consorti, Lakshmi (in basso a sinistra) e Sarasvati (in basso a destra).
Qui Vishnu appare come divinità sovrana, in piedi su un piedistallo a forma di loto. Nelle quattro mani tiene gli attributi associati a lui: nelle mani sollevate regge una mazza o clava e un loto; nella mano sinistra abbassata regge una conchiglia e nella mano destra abbassata un’arma a forma di disco. Le quattro braccia rappresentano l’onnipresenza di Vishnu nel cosmo. Quando raffigurato a colori, la pelle è sempre azzurra come il cielo che si stende sopra l’intero globo. In quanto figura regale, Vishnu porta una elaborata corona e dei gioielli. Fra i suoi attributi ci sono anche armi da guerra. La conchiglia viene suonata durante la battaglia.
Fonte 2
Bhagavad Gita cap. 4
In questo estratto Krishna, guida del principe Arjuna, si rivela come l’avatara di Vishu, che in questo testo rappresenta il Dio Supremo. Vishnu spiega che si manifesta grazie al suo maya. La parola maya significa l' immagine irreale, illusoria, o ingannevole del creato. Il potere di maya fa sì che l’universo venga considerato come entità distinta dal Brahman. Maya e Brahman sono inseparabili come il calore e il fuoco. Nel contesto di questo estratto il Brahman è rappresentato da un dio personale che sceglie di scendere in terra per restaurare l’ordine cosmico corrotto, o Adharma (Dharma più alfa privativo).
Fonte 3
Bhagavad Gita cap. 12
In questo estratto Arjuna chiede a Vishnu quale pratica (nel testo: yoga) rappresenta la migliore via verso la liberazione dal ciclo di reincarnazione. Anche se la venerazione ascetica dell’Assoluto distante, impersonale e non manifestato (ossia il Brahman) è considerata una via verso la liberazione, rappresenta una scelta molto difficile (versi 3-5). Quindi coloro che si dedicano completamente alla venerazione di una divinità personale che si rivela - in altre parole, i bhakta che compiono la devozione bhakti -sono considerati “i migliori adepti dello yoga” (verso 2), e saranno salvati dal ciclo delle rinascite da Vishnu (verso 7).
Informazioni interculturali e interdisciplinari.
Domanda 1) Oggi l’uso più comune del termine avatar viene fatto nell’informatica. Un avatar è una rappresentazione grafica dell’utente o dell’alter ego o carattere adottato dall’utente. Può assumere una forma tridimensionale, come nei giochi online o nei mondi virtuali, o una forma bidimensionale come icona nei forum o in altre comunità virtuali. Deriva direttamente dal sanscrito avatara.
Domanda 2) È importante ricordare che avatara non significa l’incarnazione di un dio in forma umana. La sua essenza rimane completamente divina anche se l’apparenza può ingannare. Quindi, si distingue dalla figura del Cristo che è uomo e Dio allo stesso tempo. Molti cristiani indiani faticano ad accettare l’umanità della figura di Cristo perché è difficile concepire un essere divino che può soffrire e morire.
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Cristianesimo II. Tematiche, sez. 3