Divinità, esseri divini: Shiva
Shiva ("colui che è d'auspicio") è una divinità hinduista molto popolare. È considerato una delle forme primarie dell’Assoluto. È il Dio Supremo Ishvara (vedi sotto) nello Shivaismo (vedi sotto), una delle denominazioni più influenti nell’Hinduismo.
Shiva ha una straordinaria concordia discors di aspetti sia terrificanti che benevoli. Uno dei suoi antecedenti nei Veda, i testi sacri dell’Hinduismo, è la divinità irata Rudra. Mentre Rudra era collegato alla morte, Shiva viene associato all’idea della distruzione e dell’assimilazione del cosmo. Ma bisogna interpretare questa forza distruttrice come liberazione dal ciclo delle rinascite. Quindi l’aspetto benevole di Shiva si riferisce alla sua volontà di salvare i suoi devoti dalla sofferenza della rinascita.
Al livello più alto Shiva è senza limiti, trascendente, immutabile e informe. Nel suo aspetto benevole viene raffigurato come ascetico onnisciente o padre di famiglia insieme alla moglie Parvati e i tre figli - il più celebre dei quali è Ganesha, la divinità con la testa d’elefante. Nei suoi aspetti feroci è spesso raffigurato nell’atto di uccidere i demoni dell’ignoranza.
In particolare, Shiva è venerato come archetipo divino dello Yogin, il praticante asceta di yoga, distruttore dell’attaccamento al mondo dei sensi. La figura di Shiva come praticante di yoga potrebbe risalire al 2300–1900 a.C., molto tempo prima dell’invasione degli Indo-Arii che diede i natali all’Hinduismo nel 1300 a.C.
I suoi attributi iconografici sono un cobra avvolto attorno al collo o le braccia, la posa yoga, e un tridente.
Altre famose raffigurazioni sono quelle del Narajata (Signore della Danza), e la forma aniconica del linga, un’immagine fallica (vedi sotto).
Fondamenti dottrinali: concetto di Dio Supremo o Ishvara
Si afferma spesso che l’Hinduismo sia una forma di religione politeistica ma sarebbe più corretto definirla come enoteismo. L’enoteismo è la credenza in e venerazione di un unico dio senza però escludere l’esistenza di altre divinità da venerare. Il concetto centrale dell’Hinduismo è Ishvara (il Signore). Il Dio Supremo è quindi la personificazione di Brahman che costituisce il fondamento eterno della realtà di un mondo che esiste in un ciclo continuo di nascita, crescita e distruzione. Per questo motivo Ishvara è diverso dalle altre divinità, le quali, bensì superiori agli uomini, sono sempre soggette al samsara e al karman (ciclo di reincarnazione e la legge della retribuzione delle azioni).
L’Hinduismo può essere definito come religione politeistica nel senso che ci sono tantissime divinità diverse—tradizionalmente si contano almeno 330 milioni! Ma spesso i credenti hinduista venerano una forma particolare del dio o della dea come il Dio Supremo, chiamato anche Ishtadevata, "dio di elezione" o "dio personale". Alcune di queste forme sono venerate in tutta l’India mentre altre sono conosciute solo a livello regionale.
Principali riti: yoga
Lo yoga non è, in senso stretto, un rito. Piuttosto è un’antica tradizione di pensiero e pratica le quali origini risalgono a prima dell’invasione degli Indo-Arii. Il termine yoga definisce una serie di esercizi psico-fisici che mirano a controllare i sensi del praticante e calmare la mente per giungere a uno stato in cui la coscienza è libera dagli influssi di un mondo considerato illusorio (Maya). In questo modo il Sé purificato del praticante potrà conoscere la verità dell' Atman, l’equivalente del Brahman (l’eterno Assoluto al di là del mondo che cambia) che risiede in ogni uomo, ottenendo in questo modo la liberazione dal samsara, l’eterno ciclo delle rinascite.
Lo yoga si distingue per essere un sistema basato su precetti fisici (esercizi, posizioni a sedere, modi di respirazione) ed esercizi di meditazione. Vari pensatori religiosi hanno adattato lo yoga alle loro tradizioni religiose, usando questi precetti come base per le diverse strutture teologiche. In occidente si tende a pensare allo yoga come un semplice sistema di ginnastica ma sarebbe meglio considerarlo come un particolare approccio indiano verso il sacro. Quasi tutte le tradizioni religiose si avvalgono di tecniche di yoga nel loro approccio alla liberazione.
Principali tradizioni dottrinali: Shivaismo
Lo Shivaismo, una delle sette più popolari dell’Hinduismo, venera il dio Shiva come Dio Supremo. I devoti di Shiva, chiamati "Shivaisti", credono che Shiva sia il creatore, il conservatore, il distruttore, lo svelatore, e l’occultatore di tutto ciò che esiste.
È molto difficile determinare la storia delle origini dello Shivaismo. Lo Shivaismo è una delle più antiche forme di culto dell’Hinduismo che risale alla divinità arcaica Rudra, antecedente di Shiva.
Intorno al 320 - 500 a.C. si svilupparono i testi Purana (vedi sotto) e lo Shivaismo si diffuse rapidamente tramite i cantanti e compositori delle narrative puraniche.
Gli Shivaisti sono più attratti dall’asceticismo rispetto agli aderenti ad altre sette dell’Hinduismo, e tendono a girare per l’India, compiendo riti di purificazione. Frequentano templi dove venerano il loro dio, e praticano lo yoga nello sforzo di diventare un tutt’uno con il loro Shiva interiore. I devoti di Shiva portano tre righe verticali in fronte e sono spesso cosparsi di ceneri. Queste ceneri ricordano al credente la necessità di abbandonare i desideri egoisti e mondani che avvolgono il Sé nella Maya, e richiamano anche la leggenda che narra di come Shiva bruciò Kama (il dio del desiderio), riducendolo a ceneri, quando costui tentò di interrompere la meditazione di Shiva.
Testi sacri e altri testi fondamentali: I Purana
I testi Purana ("dei tempi antichi") sono antichi testi hinduisti (composti tra il 250-1000 d.C.) di carattere encomiastico, dedicati soprattutto alle divinità più venerate come Vishnu e Shiva. I Purana rappresentano un genere d’importanti testi religiosi consistenti in narrative della storia dell’universo -dalla creazione alla distruzione - genealogie di re, eroi, saggi e semidei; e descrizioni della cosmologia, filosofia e geografia hinduista.
I Purana sono testi destinati soprattutto a un pubblico al quale era negato l’accesso ai Veda, il corpo dei testi sacri hinduisti. Perciò sono scritti in un linguaggio vernacolare, e diffusi dagli studiosi brahmani che li recitano e narrano le loro storie.
I Purana, insieme ad altri testi come i poemi epici, vengono classificati come smrti ("memoria"), che significa che tali testi vanno trasmessi alle generazioni successive, ma ammette anche la possibilità, anzi la necessità, di adattarli alle diverse circostanze umane.
Questa classificazione li distingue dai testi classificati come shruti (“rivelati”), cioè i sacri testi del corpo dei Veda che rappresentano l’espressione delle verità eterne.
Contestualizzazione e analisi delle fonti
Fonte 1
Shiva che balla
Analisi iconografica:
Un cobra si srotola dal suo avambraccio destro; la sua corona contiene una mezzaluna e un teschio. Balla all’interno di un arco di fiamme.
Nella mano destra sollevata regge un piccolo tamburo a forma di clessidra che simboleggia il suono che genera il creato o il battito del passaggio del tempo.
Nella mano sinistra sollevata tiene il fuoco che simboleggia la distruzione. I concetti opposti nelle mani sollevate mostra la contrapposizione tra creazione e distruzione, tra fuoco e vita.
La seconda mano destra fa un gesto di protezione, sia dal male che dall’ignoranza, che viene data a coloro che seguono la via retta del Dharma, l’ordine cosmico.
La seconda mano sinistra indica il piede sollevato che simboleggia l’innalzamento e la liberazione.
Il Nataraja danzante schiaccia un nano che rappresenta un demone, simbolo della vittoria di Shiva sull’ignoranza.
Nel suo aspetto di Signore della Danza o Nataraja, Shiva esegue una danza nel corso del quale l’universo viene creato, mantenuto e disciolto.
La faccia stoica di Shiva rappresenta la sua neutralità, l’essere in equilibrio.
Fonte 2
Immagine del Proto-Shiva
Il sigillo Pashupati è un sigillo di steatite (2600–1900 a.C.) trovato a Mohenjo-daro, un sito archeologico in Pakistan. Raffigura una figura tricefala con copricapo cornuto, seduta e contornata da animali. È ritenuta una della più antiche raffigurazioni della divinità hinduista Shiva. Prende il suo nome da "Pashupati" Signore degli Animali, un’altra epiteto di Shiva. La figura umana al centro è seduta su un palco, rivolta in avanti. Le sue gambe sono piegate al ginocchio, con talloni che si toccano e le dita dei piedi puntate verso basso. Le braccia sono estese verso fuori e si appoggiano leggermente sulle ginocchia con i pollici girati verso l’esterno. Questa posa assomiglia moltissimo alla posizione a sedere dello yoga. È la prova che gli antecedenti della venerazione di Shiva e della pratica di yoga risalgono a prima dell’invasione della civiltà Indo-Aria (1300 a.C.).
Fonte 3
Il Linga
Il Linga (sanscr. marchio o segno) è una raffigurazione della divinità hinduista Shiva che è oggetto di adorazione nei templi. Nella società indiana tradizionale il Linga è considerato come simbolo dell’energia e della potenzialità del Dio.
Il Linga viene spesso raffigurato insieme alla Yoni (simbolo della vagina), simbolo della Dea o di Shakti, energia femminile creativa (vedi sez. 7). L’unione di Linga e Yoni rappresenta l’indivisibile due-in-uno di maschio e femminile, di forza passiva e forza attiva.
L’iconografia fallica del Linga è ispirato a un mito nei testi puranici che narra dell’auto-castrazione di Shiva che si rifiuta di creare un’umanità che sarà condannata alla sofferenza della rinascita.
In un’altro testo dei Purana viene descritta un’altra origine del Linga come una colonna cosmica di fuoco senza inizio e senza fine, la causa di tutte le cause. Il Signore Shiva è raffigurato mentre emerge dalla colonna cosmica di fuoco, dimostrando la sua superiorità a tutti gli altri dèi.
Vedi anche gli informazioni interculturali e interdisciplinari qui sotto.
Informazioni interculturali e interdisciplinari.
Il missionario britannico William Ward criticò la venerazione del Linga (insieme a quasi tutti i riti religiosi indiani) nel suo influente libro del 1815 intitolato A View of the History, Literature, and Mythology of the Hindoos, chiamandola “l’ultimo stato di degrado al quale può essere spinta la natura umana”, affermando che il suo simbolismo fosse troppo “volgare, persino quando raffinato il più possibile, per essere visto dal pubblico”. Secondo alcuni studiosi il libro di Ward fornisce le basi per la successiva costruzione britannica dell’Hinduismo contribuendo in questo modo a legittimare la dominazione politico-economico del subcontinente. Tuttavia, a differenza di molte altre religioni, qui il simbolo fallico non si riferisce né alla fertilità né alla sfera della sessualità. Al contrario, come spiegato dal mito di castrazione qui sopra, implica un rifiuto del desiderio, la volontà di salvare gli umani dalla sofferenza, e l’energia maschile diretta verso obiettivi ascetici.